In queste
settimane, la RAI sta mandando in onda una fiction tratta da una serie di
romanzi di Alessia Gazzola, "L'Allieva".
Quando, ormai
cinque anni fa, entrando in libreria vidi sul banco delle novità il romanzo che
iniziava le avventure di Alice Allevi, ne fui subito conquistata. Alice,
a metà fra Kay Scarpetta e Grey's Anatomy - così recitava la frase sulla
bandella - mi conquistò al primo capitolo.
Alice è una donna
normale, con problemi normalissimi: non sa cosa vuol fare da grande, l'ansia da
prestazione sul lavoro, l'insicurezza cronica, un'imbranataggine da record e
l'intraprendenza guidata dall'istinto. Alice è tutti noi. Alice non si alza con
i capelli perfetti e il trucco perfetto. Alice ama la moda e paga cara la sua
passione. Letteralmente. Alice è confusa: su se stessa, sull'amore, sulle
amicizie. Alice ha una famiglia premurosa alle spalle con la quale ha un
rapporto pacifico e perfettamente normale. Niente traumi per Alice. Niente
passato burrascoso. Alice è una ragazza normale con problemi normali. E questo
la rende noiosa?NO!Alice è meravigliosa proprio per questo.
Nel corso dei
cinque romanzi che la vedono protagonista, il lettore la vede crescere e
maturare. Impara molto non solo sul lavoro ma soprattutto su se stessa e su
cosa vuole dalla sua vita relazionale e non vedo l'ora di vedere dove questo la
porterà un giorno, perché Alice è così vicina a noi, persone reali, che il suo
successo diventa il mio successo, la sua delusione diventa la mia delusione e
le dure lezioni che riceve, sono lezioni che, in un modo o nell'altro, abbiamo
ricevuto anche noi.
Perché, dunque,
parlare di Alice e dei 30 anni nello stesso articolo?Perché oggi la Khaleesi,
Mother of Dragons, Breaker of Chains Stormborn Daenerys Targaryen, al secolo
Emilia Clarke, compie 30 anni e sotto una delle sue foto su Facebook qualcuno
ha scritto: «Ma davvero?La facevo più giovane?». In quanto trentenne mi
sono sentita offesa. Prima di compiere i fatidici thirtysomething, con una mia
amica, scherzavamo su quanto sembrasse spaventoso questo traguardo, sul fatto
che ci sembrasse l'inizio di qualcosa di preoccupante. (E su quanto sia vagamente offensivo da parte dei media rappresentare i 30 come un baratro).
Beh, indovinate un po',
lo è ma anche no. Per me, ad esempio, è stato un punto di partenza.
Quando Noemi stava
per compiere i suoi di 30, cantò una canzone bellissima: "Vuoto a perdere". Era la colonna sonora del film "Femmine contro Maschi" - la canzone è stata persino candidata ai
Nastri d'Argento! - e riusciva a mettere in musica alla perfezione cosa ho
provato io quando ho compiuto i miei di 30 anni.
Dietro l'apparente tristezza, c'è ben altro. Il vuoto a perdere è sì qualcosa che prima era pieno ma anche qualcosa che può essere riempito nuovamente, di cose nuove, scelte da te. La cantante, nel corso del brano, ce lo dice chiaramente: non mi fermo più, mi guardo crescere, nuove consapevolezze. Perché se è vero che siamo cresciuti senza neanche accorgercene, è anche vero che ora che lo sappiamo possiamo smettere di venire a patti con noi stessi per piacere agli altri, per adeguarci a relazioni - sentimentali e non - che non ci fanno sentire noi stessi, che non ci rendono soddisfatti di noi stessi, che non valgono la pena.
"[...] Sono
un'altra da me stessa
Sono un vuoto a
perdere
Sono diventata
grande
Senza neanche
accorgermene
Ora sono qui che
guardo
Che mi guardo
crescere
La mia cellulite
Le mie nuove
consapevolezze
Sai ti dirò come
mai
Giro ancora per
strada
Vado a fare la
spesa
E non mi fermo più
Mentre vado a
cercare quello che non c'è più
Perché il tempo ha
cambiato le persone
Ma non mi fermo
più
Mentre vado a
cercare quello che non c'è più
Perchè il tempo ha
cambiato le persone"Dietro l'apparente tristezza, c'è ben altro. Il vuoto a perdere è sì qualcosa che prima era pieno ma anche qualcosa che può essere riempito nuovamente, di cose nuove, scelte da te. La cantante, nel corso del brano, ce lo dice chiaramente: non mi fermo più, mi guardo crescere, nuove consapevolezze. Perché se è vero che siamo cresciuti senza neanche accorgercene, è anche vero che ora che lo sappiamo possiamo smettere di venire a patti con noi stessi per piacere agli altri, per adeguarci a relazioni - sentimentali e non - che non ci fanno sentire noi stessi, che non ci rendono soddisfatti di noi stessi, che non valgono la pena.
Nelle
amicizie - che diminuiscono per numero - e in amore.
Quel
periodo della vita in cui si sogna la storia d'amore e di passione come
scrivono i romanzetti rosa è finito (dicono si ricominci più in là ma per ora
mi godo il periodo glorioso) ed è un bene. Nell'ultimo libro - "Un po' di
follia a primavera" - la nostra Alice Allevi capisce qualcosa che sapeva
da sempre ma che non voleva nemmeno ammettere a se stessa. Non ve lo dico,
ovviamente, perché se non avete letto i libri, questo articolo vuole essere un
caloroso invito a recuperarli. Ma è una cosa, riguardante le relazioni umane e
cosa dovrebbero essere per il singolo, che è valida a livello universale.
Nella
mia storia nello staff di Telefilm Addicted (scrivo ancora sul sito
ufficiale, dateci un'occhio), ho a che fare con diversi tipi di fan, diversi
per età, esperienze personali, visioni del mondo. Quando mi ritrovo a leggere i
commenti sui vari personaggi dei telefilm e sulle loro vicende personali, non
posso fare a meno di chiedermi: ma nella vita reale, tu accetteresti tutto ciò?
Tu, persona fan sfegatata convinta che siccome hai davanti una tastiera puoi offendere
gli altri impunemente per supportare le tue opinioni, tu, proprio tu,
accetteresti, perdoneresti? Ovviamente sto parlando di cose realistiche: per
dire, i problemi originati dallo stare con un vampiro o un lupo mannaro, così
come la caccia agli zombie, nella realtà, fortunatamente, non ci sono. Ma ci
sono le relazioni umane, quelle sì.
Ben
consapevole di addentrarmi prepotentemente nel terreno della bimbominkiaggine,
faccio un esempio. A voi profani, gente da sana di mente non contagiata da
transfert emozionali su personaggi fittizi, sembrerà assurdo. Esiste, però,
purtroppo, una cosa chiamata shipwar. Cos'è una "shipwar"?Altro non è
che una guerra fra sostenitori di ship diverse. Cosa è una ship? È una coppia
romantica. Esatto, bimbominkiaggine.
Anyway,
voi poveri profani non avete idea di cosa significhi ritrovarcisi dentro: tanto
per dirvi, l'insulto è la cosa più gentile che si possa ricevere. Non vi dico,
quando una delle due fazioni supporta una coppia che sia rappresentanza su
schermo di una minoranza nella vita reale: coppia mista, coppia LGBT, queste
ultime (fortunatamente, finalmente, era ora) vanno ora per la maggiore.
L'accusa di essere omofobo o razzista è il punto di partenza. E chi se ne frega
se il mio ragionamento, come dovrebbe essere, è alimentato da ragioni
totalmente avulse da quelle che adduce la mia controparte.
Perché
ho citato questa polemica?Perché io sono una shipper... ma a livelli umanamente
accettabili e soprattutto consapevole che quelli sono personaggi inventati. Il
mio parteggiare per l'una o per l'altra parte non è dovuto a quanto sia bello/a
tizio/caia o a quanta chimica abbiano gli attori (quella, purtroppo, disse
Mindy Kaling una volta, non la puoi mettere in sceneggiatura). Ma faccio riferimento
su quanto effettivamente faccia bene al personaggio al centro del triangolo,
una relazione piuttosto che un'altra. Anche la nostra Alice è al vertice di un
triangolo e, in maniera furba, la RAI ha pensato bene di lanciare subito
l'hashtag #teamArthur o #teamClaudio. Un hashtag a cui ho risposto con un
#teamAlice. Nessuno dei due uomini è degno di Alice, nessuno dei due, al
momento attuale, è portatore di qualcosa di buono per la ragazza.
Sorvoliamo
sul fatto che le avances - quelle televisive - di Claudio fossero molto simili
alle molestie e nella vita reale, un comportamento del genere andrebbe
denunciato. Claudio è assorbito da se stesso, non la valorizza abbastanza, mai
direttamente per lo meno, le fa capire che prova interesse ma non si scopre mai,
gioca con lei come il gatto con il topo e, per ora, non la rispetta veramente
come persona. È il narcisista fatto personaggio e per stare con Alice, deve prima fare un gran bel lavoretto su se stesso.
Arthur, d'altro canto, è semplicemente troppo
distante (non solo geograficamente). La sua vita è altrove e non importa quanto dica di amare Alice, lei
verrà sempre al secondo posto. Arthur è la tipica persona con vocazione e chi
ha una vocazione, una missione, richiede un compagno che non ne abbia una propria,
personale, di ambizione o che, per lo meno, condivida la stessa missione.
Alice
deve scegliere se stessa. Come cantava De André alla fine di " Quando
verranno a chiederti del nostro amore": continuerai a farti scegliere o
sceglierai?
Alice
Allevi siamo noi trentenni (o aspiranti tali) che lottiamo ogni giorno per costruire il nostro futuro e per non
sprecare il nostro tempo con persone inutili, in relazioni inutili, che ci
portano solo dolore e non gioia e crescita. Perché se è vero che si cresce solo
con il confronto, è anche vero che il confronto è realmente costruttivo quando
si svolge su basi paritarie.
E
Alice mi ha insegnato veramente tutto questo? No, Alice è solo l'ultima di una
schiera di personaggi femminili che dai tempi di Jane Eyre mi ricorda che io,
come persona, valgo. Bhè loro e una nota marca di shampoo.