domenica 23 ottobre 2016

Alice Allevi, i 30 anni e le nuove consapevolezze



In queste settimane, la RAI sta mandando in onda una fiction tratta da una serie di romanzi di Alessia Gazzola, "L'Allieva".
Quando, ormai cinque anni fa, entrando in libreria vidi sul banco delle novità il romanzo che iniziava le avventure di Alice Allevi, ne fui subito conquistata. Alice, a metà fra Kay Scarpetta e Grey's Anatomy - così recitava la frase sulla bandella - mi conquistò al primo capitolo.
Alice è una donna normale, con problemi normalissimi: non sa cosa vuol fare da grande, l'ansia da prestazione sul lavoro, l'insicurezza cronica, un'imbranataggine da record e l'intraprendenza guidata dall'istinto. Alice è tutti noi. Alice non si alza con i capelli perfetti e il trucco perfetto. Alice ama la moda e paga cara la sua passione. Letteralmente. Alice è confusa: su se stessa, sull'amore, sulle amicizie. Alice ha una famiglia premurosa alle spalle con la quale ha un rapporto pacifico e perfettamente normale. Niente traumi per Alice. Niente passato burrascoso. Alice è una ragazza normale con problemi normali. E questo la rende noiosa?NO!Alice è meravigliosa proprio per questo.
Nel corso dei cinque romanzi che la vedono protagonista, il lettore la vede crescere e maturare. Impara molto non solo sul lavoro ma soprattutto su se stessa e su cosa vuole dalla sua vita relazionale e non vedo l'ora di vedere dove questo la porterà un giorno, perché Alice è così vicina a noi, persone reali, che il suo successo diventa il mio successo, la sua delusione diventa la mia delusione e le dure lezioni che riceve, sono lezioni che, in un modo o nell'altro, abbiamo ricevuto anche noi.

Perché, dunque, parlare di Alice e dei 30 anni nello stesso articolo?Perché oggi la Khaleesi, Mother of Dragons, Breaker of Chains Stormborn Daenerys Targaryen, al secolo Emilia Clarke, compie 30 anni e sotto una delle sue foto su Facebook qualcuno ha scritto: «Ma davvero?La facevo più giovane?». In quanto trentenne mi sono sentita offesa. Prima di compiere i fatidici thirtysomething, con una mia amica, scherzavamo su quanto sembrasse spaventoso questo traguardo, sul fatto che ci sembrasse l'inizio di qualcosa di preoccupante. (E su quanto sia vagamente offensivo da parte dei media rappresentare i 30 come un baratro). 
Beh, indovinate un po', lo è ma anche no. Per me, ad esempio, è stato un punto di partenza.
Quando Noemi stava per compiere i suoi di 30, cantò una canzone bellissima: "Vuoto a perdere". Era la colonna sonora del film "Femmine contro Maschi" - la canzone è stata persino candidata ai Nastri d'Argento! - e riusciva a mettere in musica alla perfezione cosa ho provato io quando ho compiuto i miei di 30 anni. 

"[...] Sono un'altra da me stessa
Sono un vuoto a perdere
Sono diventata grande 
Senza neanche accorgermene
Ora sono qui che guardo
Che mi guardo crescere
La mia cellulite
Le mie nuove consapevolezze

Sai ti dirò come mai
Giro ancora per strada
Vado a fare la spesa
E non mi fermo più
Mentre vado a cercare quello che non c'è più
Perché il tempo ha cambiato le persone
Ma non mi fermo più
Mentre vado a cercare quello che non c'è più
Perchè il tempo ha cambiato le persone"


Dietro l'apparente tristezza, c'è ben altro. Il vuoto a perdere è sì qualcosa che prima era pieno ma anche qualcosa che può essere riempito nuovamente, di cose nuove, scelte da te. La cantante, nel corso del brano, ce lo dice chiaramente: non mi fermo più, mi guardo crescere, nuove consapevolezze. Perché se è vero che siamo cresciuti senza neanche accorgercene, è anche vero che ora che lo sappiamo possiamo smettere di venire a patti con noi stessi per piacere agli altri, per adeguarci a relazioni - sentimentali e non - che non ci fanno sentire noi stessi, che non ci rendono soddisfatti di noi stessi, che non valgono la pena. 
Nelle amicizie - che diminuiscono per numero - e in amore.
Quel periodo della vita in cui si sogna la storia d'amore e di passione come scrivono i romanzetti rosa è finito (dicono si ricominci più in là ma per ora mi godo il periodo glorioso) ed è un bene. Nell'ultimo libro - "Un po' di follia a primavera" - la nostra Alice Allevi capisce qualcosa che sapeva da sempre ma che non voleva nemmeno ammettere a se stessa. Non ve lo dico, ovviamente, perché se non avete letto i libri, questo articolo vuole essere un caloroso invito a recuperarli. Ma è una cosa, riguardante le relazioni umane e cosa dovrebbero essere per il singolo, che è valida a livello universale. 
Nella mia storia nello staff di Telefilm Addicted (scrivo ancora sul sito ufficiale, dateci un'occhio), ho a che fare con diversi tipi di fan, diversi per età, esperienze personali, visioni del mondo. Quando mi ritrovo a leggere i commenti sui vari personaggi dei telefilm e sulle loro vicende personali, non posso fare a meno di chiedermi: ma nella vita reale, tu accetteresti tutto ciò? Tu, persona fan sfegatata convinta che siccome hai davanti una tastiera puoi offendere gli altri impunemente per supportare le tue opinioni, tu, proprio tu, accetteresti, perdoneresti? Ovviamente sto parlando di cose realistiche: per dire, i problemi originati dallo stare con un vampiro o un lupo mannaro, così come la caccia agli zombie, nella realtà, fortunatamente, non ci sono. Ma ci sono le relazioni umane, quelle sì. 
Ben consapevole di addentrarmi prepotentemente nel terreno della bimbominkiaggine, faccio un esempio. A voi profani, gente da sana di mente non contagiata da transfert emozionali su personaggi fittizi, sembrerà assurdo. Esiste, però, purtroppo, una cosa chiamata shipwar. Cos'è una "shipwar"?Altro non è che una guerra fra sostenitori di ship diverse. Cosa è una ship? È una coppia romantica. Esatto, bimbominkiaggine. 
Anyway, voi poveri profani non avete idea di cosa significhi ritrovarcisi dentro: tanto per dirvi, l'insulto è la cosa più gentile che si possa ricevere. Non vi dico, quando una delle due fazioni supporta una coppia che sia rappresentanza su schermo di una minoranza nella vita reale: coppia mista, coppia LGBT, queste ultime (fortunatamente, finalmente, era ora) vanno ora per la maggiore. L'accusa di essere omofobo o razzista è il punto di partenza. E chi se ne frega se il mio ragionamento, come dovrebbe essere, è alimentato da ragioni totalmente avulse da quelle che adduce la mia controparte. 
Perché ho citato questa polemica?Perché io sono una shipper... ma a livelli umanamente accettabili e soprattutto consapevole che quelli sono personaggi inventati. Il mio parteggiare per l'una o per l'altra parte non è dovuto a quanto sia bello/a tizio/caia o a quanta chimica abbiano gli attori (quella, purtroppo, disse Mindy Kaling una volta, non la puoi mettere in sceneggiatura). Ma faccio riferimento su quanto effettivamente faccia bene al personaggio al centro del triangolo, una relazione piuttosto che un'altra. Anche la nostra Alice è al vertice di un triangolo e, in maniera furba, la RAI ha pensato bene di lanciare subito l'hashtag #teamArthur o #teamClaudio. Un hashtag a cui ho risposto con un #teamAlice. Nessuno dei due uomini è degno di Alice, nessuno dei due, al momento attuale, è portatore di qualcosa di buono per la ragazza.
Sorvoliamo sul fatto che le avances - quelle televisive - di Claudio fossero molto simili alle molestie e nella vita reale, un comportamento del genere andrebbe denunciato. Claudio è assorbito da se stesso, non la valorizza abbastanza, mai direttamente per lo meno, le fa capire che prova interesse ma non si scopre mai, gioca con lei come il gatto con il topo e, per ora, non la rispetta veramente come persona. È il narcisista fatto personaggio e per stare con Alice, deve prima fare un gran bel lavoretto su se stesso. 
Arthur, d'altro canto, è semplicemente troppo distante (non solo geograficamente). La sua vita è altrove e non importa quanto dica di amare Alice, lei verrà sempre al secondo posto. Arthur è la tipica persona con vocazione e chi ha una vocazione, una missione, richiede un compagno che non ne abbia una propria, personale, di ambizione o che, per lo meno, condivida la stessa missione.
Alice deve scegliere se stessa. Come cantava De André alla fine di " Quando verranno a chiederti del nostro amore": continuerai a farti scegliere o sceglierai? 
Alice Allevi siamo noi trentenni (o aspiranti tali) che lottiamo ogni giorno per costruire il nostro futuro e per non sprecare il nostro tempo con persone inutili, in relazioni inutili, che ci portano solo dolore e non gioia e crescita. Perché se è vero che si cresce solo con il confronto, è anche vero che il confronto è realmente costruttivo quando si svolge su basi paritarie. 
E Alice mi ha insegnato veramente tutto questo? No, Alice è solo l'ultima di una schiera di personaggi femminili che dai tempi di Jane Eyre mi ricorda che io, come persona, valgo. Bhè loro e una nota marca di shampoo



domenica 16 novembre 2014

Il triste caso de "La Tempestosa" e il mistero di Harry Potter

Anni fa lessi per un compito scolastico "Wuthering Heighs" di Emily Brontë e ne rimasi colpita. Non fu per la storia d'amore tormentata e corrosiva di Heathcliff e Catherine ma per l'incredibile trasformazione di un personaggio con cui empatizzare in uno che vorresti presto vedere morto:ovviamente sto parlando di Heathcliff.
Qualche anno fa,spinta da un revival di sentimenti al riguardo,ho deciso di rileggere il libro della Brontë,questa volta acquistando una copia in libreria anziché prenderla in biblioteca. Orrore degli orrori!Dopo avere acquistato il volume ho scoperto con mio sommo sconvolgimento che non solo la traduzione era stata rifatta(avevo infatti acquistato la stessa casa editrice del libro letto alle superiori) ma che Wuthering Heights era diventata "La Tempestosa" con una traslitterazione invero fedele ma fuori luogo;come se traducessero in inglese il "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa e la casa dei Salina diventasse "Kidnapped Woman" insomma. Vi lascio immaginare il resto della traduzione ed infatti ho interrotto presto la rilettura del romanzo che ancora adesso è parcheggiato nella mia affollata libreria che prende polvere accanto ad altri romanzi che non riprenderò più in mano (e ai quali dedicherò un articolo prima o poi).
La triste avventura con la Brontë mi ha riportato alla memoria un episodio analogo che avrebbe potuto avere conseguenze peggiori per la mia vita di lettrice, non fosse stato per il destino e la mia caparbietà. 
Chi mi conosce sa bene quanto io sia una janeites convinta e appassionata.Possiedo tutti gli scritti di Jane Austen in molteplici edizioni e traduzioni, spin-off non scritti da lei (chiaramente),edizioni a fumetti dei suoi romanzi più celebri, tutti ben sistemati su uno scaffale della mia libreria, sempre pronti per essere riletti per intero o a spezzoni o semplicemente sfogliati ogni volta che ne ho desiderio. Ebbene, il mio primo incontro con lei non è stato affatto fortunato.
All'età di 16 anni (l'età di Lydia Bennett al momento del suo matrimonio) ero solita girovagare per la biblioteca di quartiere, spulciando gli scaffali alla ricerca di un libro da leggere, un classico da scoprire o un "riempitivo del mio tempo" (chiamo così i romanzetti di scarso spessore letterario che però mi divertono e allietano gli spiriti affaticati dopo una lettura impegnativa).In una di queste mie "cacce al tesoro" mi sono imbattuta in una vecchia edizione di "Orgoglio e Pregiudizio", la cui trama mi attirava da un bel po'. Tutta contenta l'ho preso in prestito e ho subito iniziato a leggerlo. Madre di tutti gli orrori traduttivi!Le protagoniste si chiamavano Elisabetta, Giovanna, Caterina, Maria e Lidia Bennett e si innamoravano di Carlo Bingley,Guglielmo Darcy o Giorgio Wickham.Un pessimo punto di partenza per un libro tradotto nella peggiore delle tradizioni delle edizioni da quattro soldi. Arrivai alla fine del libro con notevole fatica e mi rimase il dubbio su come fosse possibile che tante persone amassero questo romanzo.
A salvarmi da un giudizio affrettato ci pensò un film con Gwyneth Paltrow del '96, una trasposizione di "Emma",altro romanzo di Jane Austen.In un periodo in cui avevo preso una cotta per Jeremy Northam,interprete del meraviglioso Mr Knightley del libro, avevo deciso di guardare il film. E lo adorai!!Decisi così di leggerne il libro che finii per amare più del film (come spesso accade) e che ancora adesso rileggo almeno una volta l'anno. 
La lettura di "Emma" mi condusse ad un altro romanzo austeniano-"Persuasione"- che ancora oggi è il mio preferito,il mio "Grande Amore" letterario.
È stato così che per i miei 18 anni, decisi di spendere parte dei soldi ricevuti come regalo dai miei, in una nuova edizione di "Orgoglio e Pregiudizio" che iniziai a leggere già mentre tornavo a casa. Da allora ho l'abitudine di rileggere "P&P" ("Pride and Prejudice") almeno una volta all'anno (spesso prima o dopo "Emma") e la prima edizione da me acquistata è al momento conservata come una reliquia nella mia libreria perché è talmente consumata da rappresentare un pericolo per se stessa se usata.
Un incontro sfortunato, insomma, che si è risolto in maniera decisamente positiva grazie all'intervento di altre circostanze. Un incontro che però mi ha fatto riflettere:se anziché "Cime Tempestose" avessi letto per primo "La Tempestosa" cosa sarebbe successo?Consideriamo che "Wuthering Heighs" ha subito alcune delle peggiori trasposizioni della storia, tutte parziali, tutte pronte a travisare gran parte dello spirito del libro. In quanto appassionata di trasposizioni,pur consapevole che esse non sono mai precise, avrei mai riletto il libro scoprendone la grandezza?Non credo.

Analogamente è diventato un caso la recente riedizione della saga di "Harry Potter", accompagnata da una nuova traduzione che ha scelto di tradurre diversamente molti termini dei libri:Tassorosso è diventato Tassofrasso,Lumos è scomparso,alcuni personaggi hanno recuperato i propri nomi ed altri sono stati lasciati uguali. Il grosso problema che ha generato questa decisione editoriale è legata all'immaginario e alla serie di film.
Io appartengo a quei potterhead (nome dei fan della saga) che ha letto i 7 libri uno dopo l'altro ed ha seguito le difficili trasposizioni cinematografiche con preoccupazione ma non è questo il punto. Il punto è:come puoi imporre a milioni di persone un cambiamento delle genere che può generare solo confusione?Immaginatevi raccontare la storia ai vostri figli o nipoti che l'hanno letta nella nuova traduzione e trovarvi a parlare di Cedric Diggory, il campione dei Tassorosso per poi sentirvi rispondere con un sonoro e colorito:<Tassofrasso!Ma cosa dici?>.E se in questo caso si capisce, immaginatevi parlare di Griphook (Unci-Unci), o della Gringott gestita da Goblin e non da folletti. Confonde eh?
La scelta editoriale è stata animata da intenzioni positive.Lo scopo era prendere in considerazione l'intera saga, che non è un libro solo per bambini e che vede il pasticcione Neville Longbottom (Paciock nella prima traduzione) diventare l'eroe di Hogwarts con un cognome che ha ben poco di epico.Allo stesso modo, il termine <mudblood>, con cui si insultano in nati babbani,era stato tradotto con <mezzosangue>:impreciso (non si spiegherebbe come si possano indicare con lo stesso termine i nati da un genitore mago e uno babbano senza alcun tipo di offesa intrinseca ed allo stesso tempo come possa essere un insulto in un altro contesto) e poco fedele perché letteralmente l'offesa equivale a <sangue sporco> (decisamente peggio). Questo cambiamento è ragionevole e giusto ma comunque disorientante,anche se meno di altri esempi.
È comprensibile che nella prima traduzione si siano compiute scelte di traduzione che alla lunga si siano rivelate sbagliate ma il motivo è la pubblicazione dei libri in una decina d'anni senza che si potessero prevedere le intenzioni dell'autrice.
Ora la Salani Editori ha pubblicato questa riedizione che ha scatenato le ire dei potterheads più affezionati ed ha scelto di risolvere i problemi traduttivi senza prendere in considerazione gli effetti collaterali. Non ci resta che sperare che si arrivi ad un compromesso in grado di restituire alla saga la giusta traduzione ma anche la fedeltà al passato.

E a proposito di scelte editoriali discutibili, chiuderei l'articolo citando un'altra delle mie disavventure letterarie. Negli anni '60-'70, alcune edizioni economiche, hanno lanciato sul mercato Bignami dei classici della letteratura,edizioni che sono arrivate ai giorni nostri nella Narnia dei bibliofili:i mercatini dell'usato. Mio padre mi regalò una di queste edizioni -delle quali io non avevo conoscenza- che io lessi appassionatamente molteplici volte, accompagnata dall'album di Madonna "Ray of Light";il libro era "Jane Eyre", la storia di una delle figure femminili più straordinarie delle letteratura. Per 5 anni -e dico 5!- ho creduto di avere tra le mani il libro della Bronte per poi scoprire che così non era. In quinta liceo (l'anno delle grandi scoperte a quanto pare),leggemmo dei passi a scuola e il mio libro conobbe quello della mia compagna di banco e amica Francesca scoprendo di essere il topolino accanto all'elefante. Vi lascio immaginare il mio stupore. Ho acquistato e letto subito dopo (anche per esigenze impellenti di studio) l'originale che continuo ad amare molto ancora oggi. Il bignamino è nascosto da qualche parte a perenne esempio di una riedizione riassuntiva ma scritta benissimo, tanto da essere facilmente spacciabile per l'originale a chi non ha mai visto le reali dimensioni del libro. Non rimpiango di aver letto il bignamino prima dell'edizione integrale ma sono contenta di averlo scoperto in tempo, se non altro per l'interrogazione e la mia maturità:Jane Eyre era il punto di partenza della mia dissertazione finale.
Ognuno di noi ha avuto incontri sfortunati con traduzioni inaccurate di libri che in lingua originale sono meravigliosi. Allo stesso modo della straordinaria occasione della lettura di traduzioni perfette, il mio "Anna Karenina" è stato tradotto da Leone Ginzburg, scrittore madrelingua russo ed usa un linguaggio e uno stile che rasentano la perfezione. Che poi io non sia mai riuscita a superare la metà del libro è legato più alla trama e ai miei problemi con Anna Karenina, ma ne parlerò in un'altra occasione.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il mito de "I Tre Moschettieri" di A. Dumas

http://www.corrieredellosport.it/images/adnkronos/79/Dumas_Itremoschettieri_Wiki--400x300_immagine_oleft.jpg


WARNING: Articolo ad alto contenuto di spoiler sul libro e sui film


Era il 1993 quando uscì al cinema "I tre Moschettieri" film fracassone con protagonisti famosissimi all'epoca e che - tra le altre cose - ci restituisce un giovanissimo Chris O'Donnell dai riccioli lunghi e ribelli (ah!Gli anni '90!). Io all'epoca ero poco più di una bambina e mi innamorai della storia, decisi, negli anni, di guardare ogni trasposizione della storia dei moschettieri accorgendomi che di film in film la storia cambiava: il romanzo doveva essere diverso! Quale la realtà dei fatti? Come potevano essere così diversi gli uni dagli altri? Come è stato possibile che per i giapponesi Aramis fosse, addirittura, una donna?!



Devo fare una premessa: sono una lettrice accanita e appassionata e gioisco quando i libri vengono trasposti in film o sceneggiati ma, allo stesso tempo, sono molto critica e spesso mi ritrovo ad odiare film, magari ben fatti, solo perché hanno scelto protagonisti sbagliati o hanno alterato il corso degli eventi. "I tre Moschettieri" sono, per l'appunto, una delle - tante - grandi vittime della trasposizione cinematografica ma su questo tornerò dopo.



Crescendo, e guardando le varie trasposizioni mi sono fatta una certa idea dei personaggi: un gruppo di giovani eroi dall'irruenza e la simpatia contagiosa che lottano per difendere la regina Anna dagli intrighi del Cardinale Richelieu.

Quest'anno ho deciso di leggere il libro (il primo), non so perché non l'avessi fatto prima, forse avevo un presentimento al riguardo, chissà.

Cosa ho scoperto? Che sono irruenti e simpatici ma sono quattro bricconi della peggior specie: l'unica differenza fra loro e le guardie del cardinale è, fondamentalmente, la casacca.

Athos è un quarantenne ubriacone che tratta male il proprio valletto, perennemente di cattivo umore e che si fida più del giudizio un diciottenne imberbe che del proprio.

Aramis è...no, bhé Aramis è l'unico decente dei quattro.

Porthos è un gigante fanfarone in perenne ricerca di soldi che mira ad una ricca vedova e si fa trascinare facilmente in risse per i motivi più futili finendo per essere, delle volte, più di intralcio che d'aiuto.

D'Artagnan è un ragazzino di 18 anni che pare possedere incredibile buon senso ma che finisce con una facilità disarmante nelle maglie (anche letteralmente) di Milady De Winter, che usa i sentimenti sinceri della giovane cameriera Kitty e che, pur dichiarando il proprio amore per Constance Bonacieux (una donna comunque sposata) non si fa scrupolo di fare tutt'altro che andare a salvarla.

Probabilmente Dumas si sta rivoltando nella tomba e probabilmente le mie aspettative sono state disattese dalla cruda realtà perché si nutrivano del mito dei moschettieri e dell'ammirazione per l'autore de "Il Conte di Montecristo", fatto sta che sono rimasta delusissima.



Delle allegre avventure dei moschettieri del Re e di D’Artagnan, sono state fatte negli anni molte trasposizioni:


La prima che io ricordi è quella del '48 che nel cast annoverava attori di grido. A vestire i panni di D’Artagnan troviamo Gene Kelly, le cui mosse da ballerino e il sorriso accattivante lo rendono un guascone perfetto (è il migliore D’Artagnan probabilmente); Angela Lansbury interpretava l’innamoratissima Regina Anna: dice ben poche battute ma, forse a causa del mio debole per Jessica Fletcher di “La signora in giallo”, riesce comunque a rendere il personaggio, dolce e spaventato. Nel resto del cast spicca una delle due migliori Milady de Winter che siano state rese sul grande schermo: Lana Turner, la bellissima attrice hollywoodiana oggetto delle fantasie degli uomini degli anni ’40. Madame Bonacieux, invece, fu interpretata da un’attrice a me molto cara: June Allyson, la meravigliosa interprete di Jo March nella coeva trasposizione di “Piccole Donne”. Infine, ma non perché meno importante, nell’abito talare dell’antagonista più odiato della letteratura, il cardinale Richelieu, troviamo Vincent Price,  attore di film come “La Maschera di Cera” o “Il pozzo e il pendolo”.

Di per sé il film è forse la versione più accurata e fedele al romanzo ma purtroppo anche quella con meno appeal, il che l’ha resa forse la più noiosa. Bisogna considerare, però, che questo film è stato il primo film con sonoro di Hollywood: alcune sequenze le ritroveremo in autocitazione all’interno di “Cantando sotto la pioggia” (uno dei più bei musical che siano mai stati realizzati).



Seconda importantissima versione è quella del ’73. Per certi aspetti fedelissima al libro, per altri tipica vittima degli anni ’70: vi dico solo nel cast che annovera attori di altissimo livello, troviamo Raquel Welch (che vinse persino un Golden Globe, bah!),le cui doti non recitative in più di un’occasione sono usate per attirare i lascivi sguardi degli spettatori. Il cast, come anticipato, vede la partecipazione di attori importantissimi: Charlton Heston (il cardinale Richelieu), Geraldine Chaplin (la regina Anna), Richard Chamberlain /Uccelli di Roooovo (Aramis…il film andrebbe visto solo per la parrucca di ricci posticci che indossa!), JeanPierre Cassel (Re Luigi), Christopher Lee (Rochefort), Faye Dunaway (Milady) e un Michael York fresco del successo di “Cabaret”, oltre alla già citata Raquel Welch. Benché sia evidente un tentativo di mantenere alcuni elementi della trama intatti, lo stile scanzonato ne fa la versione più leggera. Personalmente, l’ho trovato noiosissimo: dopo nemmeno due minuti già scorrevo tumblr, tuttavia medito di dargli una seconda possibilità, prima o poi. 



Dopo circa 40 anni, il Giappone realizza una versione cartone animato del romanzo. D’Artagnan è un giovanissimo guascone affiancato dal fedele scudiero Jean (personaggio assente nel libro) e dal cavallo Ronzinante (probabile omaggio a Don Chisciotte?), Constance Bonacieux è la giovane figlia (non la moglie come nel romanzo) del signor Bonacieux, Athos e Porthos sono due omoni baffuti e Aramis è una giovane vedova che decide di vestire dei panni maschili per vendicare il marito ucciso dal mercante Mason. Nel cartoon ritroviamo anche la Maschera di Ferro che diventa un misterioso criminale in combutta con la bellissima Milady de Winter, incantatrice di animali e di uomini, accompagnata dalla fedelissima scimmietta Pepe, e naturalmente il temibile Cardinale Richelieu.

Chiaramente è un cartone per bambini quindi molti elementi del romanzo sono accantonati e molte vicende inventate, ma resta comunque un godibilissimo prodotto che ha accompagnato molti di noi (sì ero una fan, conoscevo a memoria la sigla e metà delle puntate) nella nostra infanzia e che fa ancora ascolti tutt’oggi.



Nel ’93 la Disney produce una nuova versione della storia. Del libro c’è ben poco, alcuni personaggi ed eventi vengono drasticamente modificati ma forse in virtù del «decisamente liberamente tratto», è la mia preferita: non ha alcuna pretesa e ci regala battute divertentissime, dei protagonisti perfetti nei loro ruoli e compie perfettamente il proprio ruolo di svago disimpegnato.

Vediamo i dettagli. Le differenze rispetto al libro sono innumerevoli: Constance non ha marito né padre e alla fine si da ad intendere che inizierà una storia con D’Artagnan; il reali si amano mentre nel libro sono sull’orlo del divorzio; Richelieu mira alla morte del Re per il bene personale, mentre nel libro compie gli atti crudeli sempre per il bene della Francia (e non vuole uccidere il re); Milady e D’Artagnan non intrecciano alcune relazione e Milady non viene giustiziata ma si suicida; Rochefort è l’assassino del padre di D’Artagnan, in quale nel libro è vivo e vegeto. Insomma, del libro ci sono sì e no i personaggi. Ah ah ah.

Ma veniamo al cast: D’Artagnan è un giovanissimo (e riccissimo) Chris O’Donnell (NCIS Los Angeles); Athos è interpretato da Kiefer Sutherland, Aramis ha il volto e lo charme (di allora più che altro) di Charlie Sheen mentre Porthos è interpretato dal meraviglioso (come attore, non fisicamente chiaramente) Oliver Platt. Il Cardinale Richelieu ha il volto di uno dei migliori cattivi del grande schermo: Tim Curry;infine, nei fatali abiti di broccato di Milady troviamo la bellissima Rebecca de Mornay, talmente in parte che non riesco a immaginare nessun altro per quel ruolo.



La versione cartoon con Pippo, Paperino e Topolino non la considero una trasposizione perché, diciamocelo, quei nanerottoli potrebbero rendere meravigliosa qualunque storia e benché di fedele ci sia, ovviamente, ben poco, resta un classico cartoon Disney da guardare e riguardare senza mai stancarsi.



Ma veniamo alla pochade realizzata due anni fa: una supposta trasposizione con un cast stellare, una campagna pubblicitaria incredibile e effetti speciali a go go. Il cast annovera il fresco di Oscar, Christoph Waltz nell’abito talare di un Richelieu quasi nevrotico e poco credibile (mi dispiace ma ho trovato la sua recitazione fiacca e annoiata); Milla Jovovich dovrebbe interpretare la malefica Milady ma del grandioso personaggio di Dumas c’è ben poco a cominciare dalla bravura nelle arti marziali e con la spada (siamo seri?!). Francamente mi secca vedere un personaggio come quello di Milady svilito in una maniera imbarazzante: la grandezza di Milady è proprio quella di non dover ricorrere alla violenza fisica per ottenere qualcosa da un uomo, usa l’astuzia, i trucchi di recitazione, la seduzione, non pugni e calci! Il re e la regina sono due pedine di un gioco chiamato film messe lì a caso, hanno poco fascino e ti coinvolgono ben poco emotivamente: stesso discorso per Constance, trascinata a caso fra un intrigo e l’altro solo per farci vedere gli occhioni di D’Artagnan spalancarsi e emozionarsi. Ah! Quasi dimenticavo il nemico della Francia, nonché Enzo Miccio del barocco: il duca di Buckingham, interpretato da Orlando Bloom che, incredibile, è l’unico che mi sia piaciuto: a metà fra il damerino da velluto blu o verde e il cospiratore; peccato per lo stravolgimento del personaggio che da innamorato diventa arrogante ex pretendente che decide di lavare l’offesa del cuore con un attacco alla Francia…forse, ora mi viene il dubbio che in realtà si diverta solo a fare arrabbiare il re di Francia sbattendogli in faccia il suo essere più bello, più alla moda e più simpatico di lui. Abbiamo poi il sempre viscido Mads Mikkelsen (nei panni di Rochefort, il capitano delle guardie del Cardinale) che mi dava i brividi anche quando interpretava Tristano in quell’altra pochade che è stata “King Arthur” del 2004 e che ora augura buon pranzo a tutti i fan di “Hannibal”, la serie tv su Hannibal Lecter.

Ma parliamo dei veri protagonisti della storia che sono insoddisfacenti: Logan Lerman/Percy Jackson ha sicuramente l’età del personaggio del libro e forse fisicamente è più adatto di chiunque altro che lo abbia preceduto ma gli manca tutta una parte della sfera emozionale ed espressiva necessaria per un personaggio complesso com’è quello di D’Artagnan: mi ha lasciato l’amaro in bocca soprattutto perché è posto accanto ad attori di esperienza che gli rubano una scena su due. Athos è interpretato dal Mr Darcy di Joe Wright, Matthew MacFadyen ingrassato e invecchiato per l’occasione ma che io continuo a trovare buffo con quei capelli lunghi e i baffoni; Aramis ha il bel (anche l’occhio vuole la sua parte) volto di Luke Evans, Bard l’Arciere di Lo Hobbit; mentre Porthos ha la fisicità di Ray Stevenson, caratterista, omone di 1,93 cm di muscoli, sicuramente perfetto per il ruolo del gigante moschettiere. Benché i tre siano stati scelti tutto sommato bene, è di nuovo una lacuna nella sceneggiatura a renderli personaggi bidimensionali: in particolare Aramis, che nel libro è perennemente diviso fra l’amore per la Chiesa e quello per le donne e che di trasposizione in trasposizione è reso sempre più spesso solo come un latin-lover. Invece, è dei tre quello con l’animo più puro e con il comportamento e i valori più solidi.

La storia, poi, con le navi volanti (non potevo credere ai miei occhi) e gli atterraggi di fortuna e le acrobazie, è poverissima di fantasia: un mero prodotto pubblicitario che del romanzo di Dumas porta solo il nome.



Ultima trasposizione in ordine temporale è la serie della BBC: al momento sono stati trasmessi solo i primi quattro episodi ma promette sicuramente meglio di molte altre. Il cast è stato scelto abbastanza bene, sono tutti attori inglesi, il che garantisce che almeno sappiano recitare; di questi sicuramente il più conosciuto ai telefilm addicted come me è Santiago Cabrera (Heroes, Merlin) a lui l’incarico di interpretare il tormentato Aramis, impeccabilmente oserei dire. La storia per ovvie ragione (è una serie televisiva) sarà alterata ma almeno per il momento le premesse sono buone. In particolare apprezzo la credibilità dei costumi e delle location: siamo nel ‘600 non ci si lavava (e stirava gli abiti) tutti i giorni e i Moschettieri certamente non erano una categoria ricca.



In conclusione, mamma quanto ho scritto!Il mito dei tre Moschettieri è in fondo il mito del cavaliere senza macchia e senza paura che corre in aiuto della giustizia e difende la Francia dal cattivone di turno. Un po’ come Robin Hood o … non mi viene in mente nessun altro, si ha la tendenza ad idolatrarlo rendendo i personaggi, gli eroi, perfetti quando sono in realtà uomini come altri, specchio dei valori dei loro tempi: cosa facile da dimenticare. Quindi, direi che i tre fanfaroni di inizio articolo, quelli che mi avevano deluso, sono in fondo da perdonare: sono figli del loro tempo e la testimonianza che anche un pirata può essere un gentiluomo (citazione da I Pirati dei Caraibi).

giovedì 31 ottobre 2013

Il fotogiornalismo etico di Werner Bischof

Quel che rende Bischof straordinario è che riesce ad essere un grande artista sia che stia eprimendo piacere e gioia, sia che stia esprimendo dolore e desolazione. Claude Roy

 (addetti Stampa assiepati in cerca dello scoop durante la Guerra di Corea)
Dopo Erwitt, Capa e Cartier-Bresson, il Palazzo Reale di Torino ospita una nuova - meravigliosa - retrospettiva dedicata ad un altro dei grandi della Magnum, l'agenzia fotografica fondata da Capa e Cartier-Bresson nel lontano 1947: Werner Bischof.
Accompagnati dalla voce dell'audioguida e dalle memorie dello stesso fotografo, ci immergiamo nella profondità della sua vita di fotografo e uomo. 
Nato a Zurigo nel 1916, entra a soli 16 anni nella scuola d'arte del Bauhaus con l'intento di divenire pittore; lì conoscerà Moholy-Nagy che lo farà appassionare alla fotografia che lo porterà a soli 20 ad aprirsi uno studio fotografico dedicato alla moda e all'arte e alle prime collaborazioni con importanti riviste svizzere. A questo periodo risalgono i suoi scatti artistici: densi di curve, spirali, giochi di luce: una passione, quella per il motivo geometrico che gioca col chiaro-scuro, che non lo abbandonerà mai anche in anni successivi.
La fine della Seconda Guerra Mondiale lo porterà a girare l'Europa postbellica con la sua macchina fotografica: l'esperienza attraverso le macerie dell'Europa lo cambierà per sempre. A questo periodo si riferiscono i numerosi scatti dedicati alle macerie e alla rinascita: bambini che giocano al girotondo davanti a ciò che resta del duomo, il Reichstag distrutto, la porta di Brandeburgo, i treni della Croce Rossa con i profughi. Durante il viaggio in Italia - del quale, fra gli altri, ci regala "L'ultimo libro di Montecassino", un frate e un grande libro fra le macerie del monastero - conosce Rosellina Mandell, che sposerà qualche anno dopo.
Il 1949 è l'anno dell'incontro con Robert Capa e dell'ingresso nell'Agenzia Magnum: iniziano le collaborazioni con Life e altre riviste di fotogiornalismo, cessa definitivamente quella con la rivista svizzera "Du" colpevole di un eccessiva superficialità.
Per la Magnum e Life viaggerà a lungo nel continente che amerà più di tutti: l'Asia. È a questo periodo che risalgono i suoi scatti più celebri dedicati alla denuncia della povertà in India, al fascino (a cui per la verità ha ceduto faticosamente) del Giappone imperiale, alla Guerra di Corea, alla Cina, al contrasto crescente fra mondo arcaico e contadino e l'imminente devastante industrializzazione. Molti dei suoi scatti, pur raccolti in volumi antologici, non verranno pubblicati dalle riviste perché troppo crudi.
La personalità di fotografo di Bischof si definisce sempre più chiaramente come contraddistinta da un forte senso dell'etica, dell'umanità nascosta dietro la semplicità e tragicità del dolore. Frequenti sono gli scontri con i redattori che chiedevano solo foto sensazionaliste con cui sconvolgere il pubblico in patria: a Bischof interessava denunciare altro rispetto alla guerra. Della Guerra di Corea ci restano molti scatti, fra i quali due colpiscono per la loro - apparente - semplicità: il primo è una foto che ritrae la folla di giornalisti e fotografi che si accalcano alla ricerca della notizia (vedi sopra); il secondo, ritrae tre bambini nella Corea divisa dal 18° parallelo a simbolo della quantità di famiglie divise da una linea immaginaria.
Nel 1953 lascia definitivamente l'Asia per un viaggio in America. La necessità di danaro, lo porta a lavorare per giornali con foto riguardanti la città di NY soprattutto: quel mondo così illuminato, così caotico e sottomesso al dio Denaro non era per lui che, ultimate le consegne, se ne allontana ed intraprende quello che si rivelerà essere l'ultimo viaggio della sua vita: il Sud America. Gli Indios, le affollate piazze del mercato, il giovane pastore che cammina lungo la strada per Cuzco suonando il flauto, i meravigliosi panorami del Macchu Picchu: Bischof si ritrova nuovamente a suo agio e ci regala nuovi scatti meravigliosi.

(Suonatore di flauto sulla strada per Cuzco, 1954)

Morirà in un incidente stradale sulla strada per il Perù nel 1954, poche settimane prima di un altro grande della Magnum: Robert Capa.

Per esigenze di spazio non ho potuto mettere altre foto di Bischof, però se aveste piacere potete dare un'occhiata al mio Tumblr: A Lady and The Band.


lunedì 7 ottobre 2013

Who Watches the Watchmen?Uno sguardo al fumetto.






Era il 1986 quando iniziavano le pubblicazioni di una miniserie a fumetti dal titolo "Watchmen". Scritta dal britannico Alan Moore (V per Vendetta, Capitan Britannia, From Hell) e disegnata da Dave Gibbons, la serie racconta di due generazioni di supereroi - i Minutemen e i Watchmen - che, privi di superpoteri (tranne l'eccezione del Dott. Manhattan), si impegnano per difendere la giustizia, spesso con metodi poco ortodossi, nonostante i tentativi del Governo Centrale di ostacolarli, ad esempio con il Decreto Keene che imponeva la trasparenza delle identità. Quando una mano misteriosa inizia ad uccidere alcuni di loro, diventa necessario indagare più a fondo.

La cosa che apprezzo di più di questa graphic novel è l'interessante riflessione sul ruolo dell'eroe. Quando «fare la cosa giusta» è diventato un passaporto per qualunque atto?A che punto, l'eroe diventa giudice dell'umanità?Quando si inizia a parlare di «male minore»?Chi controlla i «Watchmen» (lett. Controllori, Guardiani)?Come esplicitato dalla campagna pubblicitaria.
Il pregio di questo meraviglioso comic è proprio questo. Terminata la lettura ci si ritrova pieni di domande. 
In primo luogo le figure degli stessi eroi sono oggetto di riflessione: individui quali Il Comico, Ozymandias, Dott. Manhattan, Rorschach, hanno ben poco in comune con altri super eroi del classico mondo del fumetto (ma d'altronde, Alan Moore non è un autore classico e allontanarsi dalla Golden Age era proprio il suo obbiettivo): combattono per il bene ma loro sono «Bene»?No. Il Comico è brutale, arrogante, misogino, violento e viscido. Ozymandias è talmente perfetto da ritenersi al di sopra dell'umanità corrotta e violenta. Dott. Manhattan, diventato tale dopo un esperimento nucleare andato male, pur avendo presente le pecche dell'umanità e il Bene, giunge a distaccarsene e disinteressarsene. Rorschach ha un passato violento ed egli stesso diventa violento e brutale; malvisto dai suoi stessi colleghi, si rivelerà il «più giusto» fra tutti: non dimentica l'umanità, non si ergerà a giudice, non scende a compromessi facili (e sarà l'unico a rimanere attivo nonostante il Decreto Keene).
Nella conclusione, che chiaramente non svelerò, si racchiude il senso della storia.
All'interno del graphic novel sono altresì presenti altri temi: il catastrofismo legato alla paura del nucleare (non dimentichiamoci che siamo nell'86-'87), le teorie del complotto (soprattutto presenti nel personaggio di Rorschach e nei parallelismi fra la figura del Grande Orologiaio e quella del Dott. Manhattan) e la megalomania di Ozymandias fra tutti. 
Di "Watchmen" esiste una validissima versione cinematografica del 2009 con protagonisti quali Billy Crudup, Patrick Wilson, Matthew Goode, Jackie Earl Haley, Carla Cugino, Malin Ackerman, Jeffrey Dean Morgan.  
In Italia la graphic novel è stata pubblicata da Rizzoli per la prima volta nel'88, l'ultima ristampa è del 2012 per la Lion Comics. Al momento è reperibile in formato e-book per Kindle ma solo in lingua originale.